Art à Poche – Arte & Cultura

di Elisa Bochicchio

Piero della Francesca , indagine su un mito // Musei San Domenico

Mai fui più rapida a scrivere un post, che sia la reclusione forzata a causa di una super influenza? Probabile, ma tant’è per una volta nella breve vita di questo blog de poraccy critici d’arte a tempo perso la visita alla mostra non è stata un giorno prima che chiudesse, infatti l’indagine sul mito di Piero della Francesca ha aperto i battenti solo la settimana scorsa.

Non so voi per me sentir nominare Piero della Francesca è un grande richiamo, questo Cezanne rinascimentale i cui personaggi non sono altro che forme geometriche antropomorfe mi affascina dalle superiori, per cui non potevo credere che una mostra a lui dedicata arrivasse proprio nella cara vecchia Forlì che ha fatto da scenario al mio primo periodo universitario e, ora capisco, facevo bene a non crederci.

La mostra, per quanto di nobili intenzioni, risulta un brain storming di immagini, con accostamenti spesso forzati; del buon Piero ci sono ben 4 opere, si 4, su circa 240 in mostra. Di memorabile o conosciuta c’è la Madonna della Misericordia, nemmeno intera, solo la parte centrale del polittico che ho avuto modo di vedere a San Sepolcro grazie a dio. Poi c’è una ‘Madonna con bambino’, una ‘Santa Apollonia’ ed un san Girolamo assieme ad un devoto. Ma se queste 4 opere facessero da perno all’intera narrazione della mostra non avrei nulla da obiettare, non è la quantità a rendere un’analisi artistica valida a mio parere, ma la qualità con la quale viene perseguita e qui è ben evidente che queste fossero le sole opere che il museo riusciva ad avere in prestito. Ad onor di popolo devo dire che c’è uno splendido parallelismo tra la ‘madonna della misericordia’ monumentale con le braccia spalancate ad accogliere sotto la sua protezione, sotto il suo baldacchino fatto di vesti sontuose anche il più misero dei fedeli, come il boia che vediamo sulla sinistra; e la ‘Simona Cenni’ di Casorati, la quale si mostra seduta anch’essa con le braccia aperte sulle quali si posa un manto, il paragone qui è ben riuscito, non solo per la posa ma anche per la frontalità del viso malinconico e diafano delle due figure, che sembrano combaciare alla perfezione anche grazie ad un’installazione video posta vicino all’opera di Casorati. Anche qui devo però fare un’appunto, le opere in mostra potevano essere messe vicine visto che l’intento era proprio quello di indagare l’influenza che Piero ebbe sull’arte italiana (e non) nell’arco dei secoli, ma non è stato così, la ‘Madonna’ è infatti posta nella sala centrale come fulcro della mostra, visto che ne è il simbolo anche a livello di merchandising, mentre l’opera di Casorati si trova due sale dopo.

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Dopo questo sconfortante preambolo cercherò di descrivere la mostra nella sua totalità.

In un turbinio di rimbalzi tra passato e presente il percorso espositivo ci guida tra le opere di Piero più celebri, a partire dalla sua Battista Sforza messa in relazione con quella di Carrà e Laurana, passando ai trattati di architettura perchè Piero creava i corpi in maniera scientifica, ponderata, le gambe dalle caviglie grosse dei suoi sconsolati personaggli sono colonne corinzie al contrario con le dita dei piedi a fare da ranuncoli, i volti sono sfere cariche di profonda malinconia e la prospettiva dei paesaggi o delle architetture è costruita in modo magistrale, quasi metafisico. Pensiamo alla ‘Flagellazione’ qui in relazione con la costruzione pittorica di ‘Mannequins2′ di RAM, nel suo essere così incomprensibile e irreale e perfetta allo stesso tempo, pensiamo alla ‘Città ideale’ a lui attribuita da molti o alle sue ieratiche donne immensamente infelici della loro condizione di santità, come la Santa Apollonia con la sua cesoia e il dente incastonato all’interno, simbolo del suo tremendo martirio. Le donne di Piero, le sue madonne monumentali, sono idoli che diventano moderni quando si tramutano nelle giovinette di Balthus alla toilette; Balthus fu, infatti, un grande amante dell’arte italiana e dei suoi primitivi, tra questi vi era Piero della Francesca, il sommo costruttore della realtà in forme geometriche, che lui paragonava agli artisti orientali nella sua sacralità primigenia.

Ci sono paragoni interessanti, non lo nego, come le donne di Silvestro lega, eleganti e quasi scultoree nei loro abiti fiorati, alla finestra o al piano, messe in relazione con le dame del sacro legno ritratte da Piero, l’Ottocento è un anno di riscoperta dell’opera dell’artista di San Sepolcro precedentemente dimenticato; la sua aura sembra ricorrere nei movimenti di vestizione dati da schiene nude e ricurve de ‘il vestibolo’ o i ‘neofiti’ di Cagli, ma ci sono anche paragoni stridenti e leggermente (no forse nemmeno leggermente) esagerati; ad esempio il corridoio che si conclude con la suddetta Simona Cenni ci accoglie con nature morte di uova, molte della quali provenienti dalla corrente ‘valori plastici’ e non appena le ho viste volevo mettermi le mani nei capelli, perchè sebbene possa accettare il paragone tra la Pala Brera nella quale pende un uovo sulla testa della Madonna (alias Battista Sforza) nell’abside a conchiglia, e una natura morta con sedia e strumenti musicali di Achille Funi, il resto di tavole con uova rotolanti sopra mi sembra alquanto ridicolo.

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Il mio giudizio finale è che la mostra merita di essere visitata perchè le opere singolarmente meritano davvero moltissimo, c’è una splendida madonna di Paolo Uccello, in relazione con quella di Piero, in entrambe sembra evidente il ciborio creato con le mani di Maria, ci sono due opere di Bellini che vengono relazionate alla luce diafana pierfrancescana, ci sono anche bozzetti e copie del duca di Montefeltro notevoli e che hanno tratto in inganno un avventore della mostra che pensava fossero degli originali, insomma singolarmente è tutto molto bello a livello visivo, ma la sostanza è poca, il percorso di indagine sembra un po’ arraffato ed esasperato.

Detto questo w Piero sempre e comunque <3

 

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